di Rodolfo B.- 15 febbraio 2022
Risulta difficile individuare la prima locomotiva costruita in Italia e riferibile alla trazione diesel. L’idea di adottare un motore endotermico per l’uso ferroviario nasce alla metà degli anni ’20, del secolo scorso. In quel periodo si può notare un notevole fermento d’iniziative per la ricerca di un sistema di trazione alternativo a quello a vapore. Già nel 1917 appare negli Stati Uniti un prototipo di locomotiva diesel-elettrica, costruita dalla General Electric.
La gestione della macchina a vapore è molto costosa, in quanto gran parte dell’energia prodotta dalla combustione sfugge nell’ambiente per dispersione termica e insieme al vapore esausto espulso ancora caldissimo. Per questo il rendimento della classica macchina a vapore è molto basso.
I miglioramenti apportati alla macchina a vapore
Risultati sensibili sono stati ottenuti con l’applicazione del vapore surriscaldato, dei riscaldatori dell’acqua di alimentazione a carico di calorie che normalmente vanno disperse, della doppia espansione ed ancora si possono menzionare le modificazioni alla forma del forno, all’apparato motore, ai tipi di combustibili (carbone polverizzato, nafta, ecc. ), dalla applicazione di turbine ed infine con l’aumento di pressione del vapore; con tutto ciò il rendimento termico globale rimane e rimarrà sempre assai basso, intorno all’8%.
Il nuovo sistema di trazione doveva però anche essere competitivo con la trazione elettrica trifase. Essa si era pienamente affermata per i lunghi e pesanti convogli sulle linee di valico. Il problema del sistema trifase risiedeva nella necessità della costosa costruzione della linea aerea bifilare. Inoltre vi erano ulteriori problematiche legate alla struttura e all’utilizzo dei motori alle varie velocità. Il motore trifase diventerà pienamente fruibile per la trazione ferroviaria solo con l’arrivo dell’elettronica di potenza, negli ultimi trent’anni.
L’unica alternativa possibile ai due sistemi descritti consisteva nella trazione diesel, che aveva già dato valida risposta ai trasporti navali e stradali.
La difficoltà principale della trazione diesel applicata al trasporto ferroviario.
Sembra un controsenso, ma la trazione diesel ebbe un grande successo negli anni ’30, applicata alle automotrici leggere (le cosiddette “littorine”). Solo dopo arrivarono le prime valide locomotive diesel per il traino di pesanti convogli merci e passeggeri. Il motivo risiede nella grande difficoltà tecnica ed economica della trasmissione del movimento fra motore e assi accoppiati nel caso di grandi potenze.
Le cinque soluzioni possibili.
- Elettrica: il motore diesel muove una o più dinamo che alimentano motori elettrici che muovono gli assi mediante serie d’ingranaggi. E’ pratica, con rendimento intorno al 25%, è già in grado di trasmettere potenze anche superiori a 750 kW, ma è costosa e pesante. Spesso la sua applicazione implicherebbe una massa incompatibile con la capacità delle linee ferroviarie del tempo.
- Idraulica: dopo la seconda guerra mondiale sarà applicata con piena soddisfazione a potenze di migliaia di kW. Ma allora era agli albori, aveva un basso rendimento e poteva sopportare potenze massime di 300 kW.
- Meccanica: ovviamente disponeva del miglior rendimento (29%). Però richiedeva un sistema complesso di giunti, innesti e frizione. I dispositivi automobilistici erano e sono tutt’ora incapaci di sopportare le potenze elevate della trazione ferroviaria. Le loro dimensioni non possono essere eccessive all’interno della cassa della locomotiva ed è questo il vincolo che ne ha impedito l’utilizzo.
- Pneumatica: furono condotti alcuni esperimenti, ma la complessità dei meccanismi e del funzionamento la fecero accantonare.
- Meccanica diretta: costituita da un sistema di bielle e manovelle che collegava direttamente il motore diesel agli assi motori. La società Sulzer & Borsig applicò per prima questo sistema ma senza successo. Un prototipo fu progettato per le ferrovie Prussiane: era una locomotiva con rodiggio 2-B-2 pesante 95 t, con trasmissione diretta. Il motore era a due tempi con potenza di 1000 CV; la partenza avveniva mediante un meccanismo ad aria compressa. La difficoltà consisteva nella necessità di disporre di un motore in grado di avviarsi a bassissimo numero di giri senza spegnersi e capace di sviluppare una coppia sufficiente a sviluppare un’accelerazione ragionevole.
La trazione diesel nella MMO: la locomotiva 21
Nell’anno 1924 comparvero le prime due locomotive diesel sulle reti italiane. Delle due, la n. 21 della linea Monza-Molteno-Oggiono (MMO) è di gran lunga meno nota della sua contemporanea MCL 301 delle Ferrovie Calabro Lucane:
La Compagnia Generale di Elettricità (CGE) curò la sua progettazione e costruì la parte meccanica ed elettrica; la società Franco Tosi di Legnano curò la parte termica (il motore).
La locomotiva aveva una massa di 60 t; il suo telaio era costruito con profilati in ferro e su di esso poggiava la cassa contenente l’enorme motore diesel, che la occupava quasi completamente:
I carrelli erano a due assi portanti, ogni asse mosso da un motore e si rifacevano al tipo “Archbar”, molto diffuso in America:
Carrello Archbar – Disegno tratto da Italmodel Ferrovie n. 229.
Il motore
Il motore diesel costruito dalla Franco Tosi aveva 8 cilindri e funzionava a quattro tempi; aveva potenza di 230 kW (320 CV) alla velocità di regime di 225 giri al min, elevabile a 290 kW (400 CV) alla velocità massima di 300 giri/min.
La scelta della trasmissione elettrica.
La scelta cadde sulla trasmissione elettrica: all’albero motore erano collegati un volano esterno e un ingranaggio che muoveva i pignoni di due dinamo affiancate. Esse costituivano due generatori da 170 kW ciascuno a 900 giri/min, e potevano essere collegate in serie o parallelo. Oltre a ciò erano disponibili vari gradini di eccitazione, che consentivano una vasta gamma di tensioni per alimentare i quattro motori di trazione. Ciò consentiva una regolazione fine della potenza e della forza motrice necessarie nelle variegate condizioni di marcia. La dinamo eccitatrice alimentava anche i circuiti ausiliari e l’illuminazione grazie a un secondo avvolgimento di campo.
I quattro assi motori erano dotati ognuno di un motore del tipo chiuso autoventilato, a quattro poli, con pignone elastico e mossi da una ormai collaudata trasmissione di tipo tranviario. Ogni motore poteva sviluppare all’albero una potenza continua di 70 kW (95 CV) alla tensione di 550 V.
Questo prototipo confermò che la trazione elettrica era già tecnicamente fattibile ma anche che i pesi in gioco erano ai limiti, se non eccedenti le capacità delle reti ferroviarie dell’epoca. Infatti la nostra locomotiva era già al limite delle 15 t per asse ammesse per la MMO.
I risultati operativi e la fine della carriera.
I risultati del suo utilizzo in linea non furono del tutto negativi, considerata la progettazione ancora primitiva e non supportata da adeguata esperienza. I problemi di esercizio nacquero soprattutto dal sistema di regolazione della potenza. Questo inconveniente, sommato alla massa al limite della capacità della linea e ad altri fattori, condusse alla alienazione della motrice dopo pochi anni di esercizio sperimentale. Dai registri risulta che nel 1935 non fosse più in servizio.
La trazione diesel nella MCL: locomotiva MCL 301
Forse è questa la prima locomotiva diesel italiana, almeno a livello documentale. I disegni della FIAT per la relativa parte meccanica risultano datati fra il 17 e il 26 settembre 1923:
Il Tecnomasio Italiano Brown Boveri (TIBB) si occupò della parte elettrica. La costruzione della locomotiva risulta completata nel 1924, come la precedente n. 21 della MMO.
E’ interessante notare che questa locomotiva non fu progettata per le FS, ma per la Società Strade ferrate del Mediterraneo e specificamente per la rete calabro-lucana MCL (Mediterranea Calabro_Lucane) a scartamento ridotto di 950 mm, cioè una societò ferroviaria privata, Inoltre è stata certamente una delle prime locomotive diesel al mondo ad aver svolto il suo compito in maniera soddisfacente per molti anni.
Una progettazione d’avanguardia per la trazione diesel
Il progetto era molto innovativa e ben strutturato; infatti in esso si trovano molte soluzioni che poi troveranno vastissime applicazioni nella trazione diesel alcuni decenni dopo, come la trasmissione elettrica e i carrelli con tutti gli assi motori (in simboli Bo’Bo’, dove B sta per DUE assi e o’ indica che ogni asse ha il proprio motore). Per superare le difficoltà della linea con i convogli più pesanti, si pensò di ricorrere all’aiuto di una carrozza “booster”, cioè una carrozza a carrelli dotata di due motori elettrici alimentati dalla stessa generatrice della locomotiva. Non sembra esista documentazione sulla realizzazione di questa carrozza “booster” e quindi è difficile sapere come i motori erano collegati agli assi, eventualmente con l’utilizzo di bielle interne.
Ovviamente la potenza rimaneva invariata, essendo quella della locomotiva, ma aumentava il peso aderente (60 tonnellate per la locomotiva più la carrozza, invece delle 44 t della sola locomotiva).
Caratteristiche principali
Era una locomotiva Diesel-elettrica a due carrelli con rodiggio Bo’Bo’ e con una massa di 44 t. La cassa aveva una cabina ad ogni estremità e conteneva tutti i gruppi endotermici ed elettrici. Essa poggiava sul telaio, sotto il quale erano disposte le batterie di accumulatori, numerose e voluminose in quanto servivano anche per l’avviamento del grosso motore diesel. A questo scopo si utilizzava la generatrice principale come produttrice di moto, sfruttando uno dei vantaggi della trasmissione elettrica.
I carrelli e l’impianto frenante.
Il telaio appoggiava su due carrelli mediante ralle sferiche; le sospensioni consistevano di classiche molle a balestra supportate da molle elastiche elicoidali.
L’impianto frenante consisteva di 16 ceppi che agivano sui cerchioni delle ruote ed era automatico e moderabile. La considerazione che le lunghe linee acclivi in discesa avrebbero potuto mettere a dura prova l’impianto frenante indusse all’introduzione di pattini in ghisa con rivestimento in carborundum che potevano agire sul fungo della rotaia. Appositi cilindri posizionati al centro delle fiancate dei carreIli comandavano pneumaticamente la discesa dei pattini. Per prevenire ogni emergenza, il sistema del freno a pattini era alimentato da un proprio serbatoio di aria compressa, in modo da risultare sempre disponibile in ogni evenienza.
Il motore
Per la scelta di un motore adatto alla trazione diesel, non se ne progettò uno ex-novo, ma ci si rivolse al settore marino: si ritenne infatti che l’esercizio pesante e quotidiano del trasporto ferroviario potesse essere sostenuto più agevolmente da un propulsore che avesse già dato prova di resistenza, durata e affidabilità come un collaudato motore navale.
Perciò i tecnici della FIAT scelsero un motore diesel a due tempi, a sei cilindri in linea, corsa mm 300 e alesaggio 250 mm derivandolo da uno già in produzione (FIAT Grandi Motori tipo Q256), con la sola modifica dell’incremento dell’alesaggio di 10 mm. Era stato progettato e costruito per gruppi generatori elettrici di uso navale, quindi collaudato per tempi lunghi anche in condizioni di precaria assistenza.
Esso sviluppava una potenza di 440 CV (circa 324 kW) all’albero motore. Ovviamente alle ruote arrivavano 320 CV (circa 235 kW) a causa delle perdite dovute alla trasmissione elettrica e ai circuiti ausiliari. In particolare la dinamo eccitatrice richiedeva 20 kW da sola.
Aveva il basamento e l’albero motore in acciaio fuso, le canne dei cilindri in ghisa acciaiosa , i pistoni in ghisa lubrificati e raffreddati mediante circolazione forzata di olio, valvole di lavaggio e di iniezione. Una novità interessante è la pompa del combustibile a stantuffi multipli regolabile automaticamente. Essa consentiva di adeguare il carico del motore alle necessità della generatrice elettrica.
Per il raffreddamento ad acqua del motore diesel vi erano due gruppi di radiatori a ventilazione forzata disposti sul tetto.
Nel 1930 il motore fu sostituito da un motore diesel OM BZD a 12 cilindri da 224 kW. Durante la seconda guerra mondiale, la penuria di combustibile indusse a modificare il motore per utilizzarlo con gas liquefatto (butano).
La generatrice elettrica per la trazione diesel.
Al motore era rigidamente accoppiata la generatrice principale a eccitazione indipendente. A un regime di 500 giri/min. erogava una corrente di 900 A a una tensione di 300 V (circa 270 kW). Dovendo affrontare pendenze fino a 60 mm/m, essa era in grado di alimentare altri due motori elettrici posti sui carrelli della carrozza ausiliaria. Questa aveva gli assi di ciascun carrello collegati fra loro con bielle e poteva contribuire alla trazione con la sua massa aderente di 16 t.
Dei 324 kW del motore, ben 20 kW erano richiesti dalla dinamo eccitatrice. Per evitare un peso e un ingombro eccessivo, essa funzionava a un regime nominale di 2000 giri/min ottenuti dalla generatrice principale mediante una coppia di ruote dentate cilindriche che assicuravano una moltiplica di 4:1.
Per regolare il tutto si scelse il sistema Ward Leonard, preferito per la sua precisione che risparmiava brusche variazioni al motore endotermico. La batteria di accumulatori forniva la corrente per l’eccitazione della dinamo eccitatrice.
I motori elettrici adatti per la trazione diesel.
I motori elettrici che muovevano gli assi erano autoventilati, a corrente continua con eccitazione in serie, a 6 poli principali e 6 ausiliari. Il rapporto di trasmissione era 1:5,3. Con una tensione di 400 V potevano sviluppare una potenza oraria di 74 kW e continuativa di 55 kW, cui corrispondeva una velocità di 27 e 23 km/h. Il collegamento dei quattro motori della locomotiva e dei due eventuali della carrozza poteva variare da serie a parallelo anche a gruppi. L’inversione del senso di marcia avveniva con l’inversione del collegamento elettrico dell’armatura rispetto al campo.
I primi test della trazione diesel in Piemonte
Nel 1924 questa unità fu collaudata preliminarmente sulla ferrovia Biella-Balma. Essa era prossima agli stabilimenti del costruttore e disponeva di armamento, raggio minimo di curvatura e pendenze paragonabili a quelle della MCL. Chiaramente però la lunghezza delle tratte di questa linea era molto inferiore a quella che la locomotiva troverà in Calabria, con le conseguenze che il collaudo avvenne in condizioni più favorevoli del necessario.
Le prestazioni previste in sede di progetto.
Un po’ di numeri servono per capire cosa ci si aspettava da questa locomotiva. La pendenza è espressa in “per mille” e le tonnellate indicate implicano il peso complessivo del treno (motrice+carrozze):
- 50 o/oo : traino di tre carrozze (76 t) a 20 km/h;
- 40 o/oo : traino di cinque carrozze (97 t) a 19 km/h;
- 30 o/oo : traino di sei carrozze (108 t) a 22 km/h;
- 10 o/oo : traino di sei carrozze (108 t) a 40 km/h.
Nel caso si fosse utilizzata la carrozza motrice ausiliaria, le prestazioni calcolate erano:
- 60 o/oo : traino di una carrozza oltre a quella ausiliaria (75 t) a 18,5 km/h;
- ” ” : traino di quattro carrozze (105 t) a 13 km/h;
- 50 o/oo : traino di quattro carrozze (105 t) a 16 km/h.
Per il calcolo del peso, oltre alle 44 t della locomotiva e alle 16 t della carrozza ausiliaria, le vetture passeggeri erano stimate 8 t a vuoto e i viaggiatori 70 kg con il bagaglio. Il peso complessivo poteva quindi variare a seconda dei posti offerti nelle diverse carrozze.
Le basse velocità previste sono dovute sia alle fortissime pendenze che alle numerose curve di strettissimo raggio, anche fino a 100 m.
Il trasferimento alle MCL
Dopo i test effettuati in Piemonte, finalizzati alla taratura della potenza del motore diesel e per una verifica funzionale, la locomotiva fu trasferita a Cosenza. Qui iniziarono le vere e proprie prove sul campo, sotto la supervisione di funzionari della MCL e del Regio Ufficio di Vigilanza per le costruzioni ferroviarie in concessione.
Per la valutazione di una locomotiva occorre una carrozza dinamometrica; non essendo allora disponibile, si ricorse al confronto delle prestazioni della locomotiva diesel con quelle di tre locomotive a vapore che fornivano un soddisfacente servizio. Esse erano tre locomotive-tender del Gruppo MCL 170, prodotte dalla BREDA, a tre assi motori, con una potenza nominale effettiva ai cerchioni di 360 CV.
Le prove si svolsero sulla linea Cosenza-Catanzaro, in particolare nella tratta Cosenza-Soveria Mannelli fino al 1926 e Cosenza-San Pietro in Guarano. Alcuni tratti di linea ferroviaria furono dotati di picchetti per il rilievo delle velocità e alcune curve a stretto raggio ebbero in dotazione la controrotaia per motivi di sicurezza, presumendo un incremento delle velocità. Per la valutazione complessiva si tenne conto dei consumi di combustibile, olio, acqua e sabbia (per migliorare l’aderenza fra cerchione e rotaia).
La trazione diesel dimostra le sue potenzialità.
Complessivamente, la locomotiva diesel dimostrò di avere un rendimento tale da dimezzare il costo di una tonnellata rimorchiata, in paragone alla trazione a vapore. Essa si dimostrò nettamente superiore nelle tratte con pendenze moderate e un po’ meno in quelle più acclivi. Ovviamente non si potevano però valutare le spese di manutenzione, ammortamento, mano d’opera, eccetera, dato che si trattava di un prototipo.
La locomotiva poteva sviluppare continuativamente una forza di trazione ai cerchioni di 2700 kg alla velocità di 32 km/h con una potenza ai cerchioni di 320 CV. Il rendimento della trasmissione elettrica globalmente risultava di 0,72, di tutto rispetto e paragonabile a quello delle locomotive diesel odierne.
Gli inconvenienti registrati durante il periodo di prova.
Durante il periodo di prova sembrerebbe che siano avvenuti un paio d’inconvenienti. Il primo consistente nell’usura un po’ eccessiva del fungo della rotaia a causa dell’uso troppo disinvolto del freno con i pattini. Ovviamente la soluzione si trovò con una migliore istruzione del personale. Il secondo inconveniente, più grave, riguardò il circuito di raffreddamento del motore, che si rivelò insufficiente. Le modifiche richiesero qualche mese e comportarono la sostituzione dei radiatori originali con altri più efficaci e l’aggiunta di serpentine di raffreddamento a ventilazione naturale disposte lungo le fiancate della cassa:
La trazione diesel diventa pienamente operativa.
Concluso il periodo della messa a punto, la nostra locomotiva fu messa in servizio regolare e vi rimase per oltre 10 anni, riscuotendo un successo notevole anche all’estero, specialmente negli Stati Uniti. Infatti gli americani iniziavano a costruire locomotive analoghe.
Dopo il periodo trascorso nel cosentino, la locomotiva fu trasferita al deposito di Bari, in quanto sulle linee apulo-lucane le altitudini erano inferiori e non vi era l’esigenza del riscaldamento dei treni passeggeri, allora ottenuto col vapore delle locomotive.
Svolse regolarmente il suo lavoro in turno sia per treni merci e passeggeri, specialmente sulla linea Bari-Matera.
La conclusione della carriera della MCL 301.
Le prestazioni della locomotiva si dimostrarono sovrabbondanti per le esigenze della MCL e le maggiori velocità teoricamente possibili non potevano essere utilizzate a causa delle caratteristiche della linea. Dal punto di vista economico, poiché una sua tonnellata costava il triplo di una massa analoga di una locomotiva a vapore tradizionale, la MCL si trovava in linea un mezzo costosissimo il cui acquisto non risultava essere un affare conveniente, nemmeno tenendo conto di futuri sviluppi e di economie di scala in caso di ordinazioni plurime. Alla fine degli anni trenta la locomotiva fu accantonata a Bari, sostituita da nuove automotrici leggere diesel a trasmissione elettrica costruite dalla Piaggio.
La difficoltà di approvvigionamento di combustibile convinsero la MCL a tentare vie alternative come il metano e il butano; nei primi anni ’40 la 301 fu adattata per il funzionamento a gas liquefatto (butano) e impiegata sulla linea Bari-Matera fino al 1948, quando fu definitivamente accantonata.
In quegli anni il progresso evolutivo dei motori diesel e dei metodi di trasmissione l’aveva resa del tutto superata sul piano tecnico e quindi non conveniente dal punto di vista economico la sua rimessa in efficienza.
Accantonata nel deposito di Bari per tutti gli anni cinquanta fu alienata a un’impresa di demolizione il 16 maggio del 1961. A quei tempi non si sentiva ancora l’esigenza della tutela dei simboli del nostro progresso tecnico, se non per quegli oggetti che rivestivano un ruolo eccezionalmente importante.
Un esperimento finito tragicamente: la D.2311.001 Ansaldo.
Alla fine degli anni ’20 fu costruito un prototipo con interessantissime soluzioni tecniche per l’utilizzo della trazione diesel su ferrovia. I primi risultati incoraggianti convinsero a continuare i test sulla linea Roma-Firenze, importante linea dorsale tortuosa e con notevoli cambi di pendenza. Purtroppo un grave incidente interruppe le prove e, nonostante i risultati incoraggianti l’esperimento non proseguì in quanto si ritenne che il momento economico non fosse più favorevole.
Essendo un prototipo piuttosto complesso, la locomotiva D.2311.001 sarà descritta in un futuro articolo.
Bibliografia
- Giovanni Cornolò – La ferrovia MONZA – MOLTENO – OGGIONO – Italmodel Ferrovie n° 229, agosto 1979.
- Domenico Molino – LA PRIMA LOCOMOTIVA DIESEL ITALIANA – Italmodel Ferrovie n° 202, marzo 1977.
- Adriano Betti Carboncini – La D.2311.001 ANSALDO – Rivista “I Treni” n. 332, dicembre 2010.
- Salvatore Rongone, Ferrovie Appulo Lucane , 1979.
- Oreste Santanera, Fiat Treni. Ottant’anni del contributo della Fiat alla tecnologia ferroviaria , Milano, Automobilia, 1997,
- Pietro Marra, Calabro Lucane. Piccole ferrovie tra Puglia, Basilicata e Calabria , Bagnacavallo, PGM, 2016,